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dai GIORNALI di OGGI

L'11 giugno del 1984 moriva Enrico Berlinguer.

In occasione del venticinquesimo anniversario dalla sua scomparsa, cerimonia organizzata dalla Camera dei Deputati, in presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Tra i protagonisti della giornata, oltre a Alfredo Reichlin, anche il presidente della Camera Gianfranco Fini.

L'omaggio di Fini: "Per lui la mia ammirazione"

2009-06-11

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

 

 

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2009-06-11

 

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2008-06-11

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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2009-06-11

"Quel giorno a Yalta con con Ponomariov..."

di Concita De Gregorio

Dal giorno della sua morte la famiglia di Enrico Berlinguer – la moglie, i suoi quattro figli – ha mantenuto un riserbo assoluto. Mai un’intervista né uno scritto sul marito e sul padre. "Perché così lui avrebbe voluto, perché niente si poteva togliere né aggiungere davanti a quella grande testimonianza di affetto collettivo", dice oggi Bianca. Ora che sono passati 25 anni, un quarto di secolo, la primogenita di Enrico ha deciso di condividere con i lettori dell’Unità un frammento del diario familiare. Una foto dall’album che ci lascia entrare per un momento nella sua vita privata e nei suoi ricordi, un varco in uno spazio gelosamente custodito: ci mostra il padre com’era e ci consente di immaginare di vederlo. Al mare, un giorno qualsiasi. È un regalo, in un certo senso. Lo accogliamo con gratitudine.

Di papà amo ricordare quella frase di un’intervista a Giovanni Minoli: "Mi dà fastidio che dicano che sarei triste, perché non è vero". È come lo dice che mi piace: sorridendo. Non era triste nemmeno un po’. Era introverso e tuttavia capace di essere anche molto estroso, in particolare con noi bambini. Ci portava alla ruota dell’Eur, in tutti i luna park delle città che visitavamo, a camminare in luoghi impervi e su rocce a strapiombo e poi in barca, a vela latina, quella senza deriva, nel mare di Stintino. Mia madre racconta che lui diceva sempre: se potessi scegliere come morire vorrei che fosse in mare. Mamma aggiungeva scherzando che più di una volta ci aveva pure provato. Affrontava il mare in tempesta con il cugino Paolo. Per lui il mare era un’avventura e una sfida. Una volta io e mia sorella Maria abbiamo fatto naufragio al largo dell’Asinara, fortunatamente papà era avanti e ha visto che non lo seguivamo più: di certo non saremmo potute rientrare a nuoto. Mi ha insegnato il mare. Un amore assoluto. E ad andare in bicicletta quando ero ancora piccolissima. In un giorno solo, al Foro italico. Io cadevo e lui diceva: devi risalire subito se no ti viene paura e non ci vai più. Sono tornata a casa con le ginocchia sbucciate ma avevo abbandonato definitivamente le ruotine. Sono sempre i padri che insegnano ad andare in bici, no? Con lui abbiamo imparato anche a nuotare. Un giorno in canotto. Ha detto, a me e ai miei fratelli: scommettiamo che se vi buttate nuotate? Io vado in acqua, voi tuffatevi, se non ce la fate vi prendo io. Ci aiutava nei compiti. Soprattutto storia e filosofia. E ci faceva capire se i nostri fidanzati gli piacevano ma senza dirlo: non era necessario, si vedeva molto chiaramente. Abbiamo quasi sempre pranzato insieme. Almeno quando poteva tornare a casa. Noi figli si parlava, spesso si litigava, lui soprattutto ascoltava. E ripeteva: non urlate, non urlate, per carità. Non era severo, era fermo. Abbiamo sempre fatto almeno quindici giorni di vacanze tutti insieme. Luglio si andava con gli amici, ciascuno coi suoi. Ad agosto insieme noi sei. Per anni abbiamo affittato a Stintino l’ultima casa del paese quella della signora Speranza. Allora era proprio un borgo di pescatori. Ciascuno di noi figli aveva il suo gruppo, si cresceva insieme un’estate dopo l’altra. Poi nel ’77 non ci potemmo andare più. Erano gli anni del terrorismo, c’erano grandi problemi di sicurezza. Ricordo un giorno a Roma, tornando a casa col Boxer, lo trovai da solo fuori dalla porta senza nessuno della scorta. Mi hanno convocato a scuola dei tuoi fratelli, mi disse, dobbiamo andare subito, portami tu. Andammo in due sul motorino, aveva il sellino da uno, io stavo in piedi sui pedali. Al ritorno sotto casa c’era uno spiegamento di forze: ma dov’è che sei andato, in motorino con tua figlia da solo, siamo matti? Fu l’unica volta. Era rispettosissimo delle regole della sicurezza soprattutto perché non voleva creare problemi ai compagni che stavano con lui: Menichelli, Franceschini, Righi, Alessandrelli. Siamo cresciuti con loro. Comunque: dal 77 non fu più possibile andare a Stintino. Quella casa non si poteva proteggere. Così per due anni andammo all’Elba, poi nel ’79 i miei decisero di portarci in Unione Sovietica. Yalta, Leningrado, Kiev. Si andò in nave passando dalla Grecia. Mi ricordo che all’arrivo affacciandosi dal ponte papà disse: "oddio c’è Ponomariov". Ponomariov era il dirigente che si occupava dei partiti comunisti non al governo. Ci portarono in una casa sul mare con un bellissimo giardino. Papà ci disse, mi raccomando cercate di non parlare in casa perché sarà piena di microfoni, parlate all’aperto. Mia sorella Laura aveva 9 anni, ci fece impressione questa storia dei microfoni ma tanto che potevamo dire di segreto?, gli chiedemmo, lui sorrideva. Eravamo circondati dagli uomini della sicurezza sovietica, ci seguivano dappertutto. Se il mare era mosso non volevano che facessimo il bagno. Quando vedevano uno di noi figli entrare in acqua arrivavano di corsa e facevano segno col dito: "Berlinguer, no". Ci chiamavano tutti Berlinguer. Allora andavamo a protestare da mio padre, io avevo 18 anni protestavo molto. E così lui veniva in acqua con noi: se entrava lui non potevano dir nulla. Capeggiava la ribellione familiare. Faceva il bagno con noi e i sovietici a quel punto dovevano spogliarsi ed entrare in acqua anche loro. C’era un’interprete che si chiamava Nina, allegra e chiacchierona, ma quando veniva a cena Ponomariov diventava taciturna e rigida, si cambiava, si toglieva i pantaloni e si metteva la gonna. Nell’Urss non siamo più tornati. Papà sì per i funerali di Andropov, quella volta che non volle mettersi il colbacco. L’anno dopo finalmente potemmo tornare a Stintino. Dall’80, qualche anno ancora. Di nuovo a veleggiare, papà era sempre al timone. Gli piaceva tantissimo il maestrale forte, mamma non voleva che ci portasse quando c’era mare ma ormai eravamo grandi e in barca ci andavamo da soli. Il giorno che è partito per Padova siamo andati all’aeroporto insieme. Lui a Genova, io in Sardegna. Ci siamo salutati lì. Quando mi hanno chiamata la notte ho capito subito che doveva essere una cosa molto grave: lui non avrebbe permesso che chiamassero a quell’ora. A Stintino, a casa di Speranza, non siamo tornati mai più".

13 giugno 2009

 

 

 

 

 

Quando il "partito" era vicino agli operai

di Cesare Buquicchio

Si potrebbe anche intitolare "Berlinguer, così lontano così vicino" il documentario di Paolo Pisanelli che invece si intitola, più fedelmente, "Enrico Berlinguer – Conversazioni in Campania". Ma è così lontano il segretario del Partito comunista italiano, di cui in queste ore corre il venticinquesimo anniversario della morte. Lontano dai tanti ragazzi napoletani con cui il documentario, realizzato nel 2004, si apre. In tanti rispondono "boh?" alla domanda "Chi era Berlinguer?". Qualcuno azzarda incautamente: "Forse era un personaggio della Prima guerra mondiale...". Si resta increduli quando il documentarista si addentra nella facoltà di Scienze politiche senza ottenere dai ragazzi in attesa di un esame o nella pausa tra una lezione e un seminario, una risposta migliore di quel "boh?". Tocca ad Abdon Alinovi, storico dirigente Pci e concittadino di quei ragazzi, dare la colpa di quell'ignoranza proprio alla politica e ai partiti di oggi e "scagionare" l'incoscienza di quei giovani.

Ma è così vicino, d'altra parte, Berlinguer proprio ai padri di quei ragazzi. In un bellissimo filmato inedito, che costituisce il centro del documentario, il segretario nel 1980 incontra, infatti, una folta delegazione di operai dello stabilimento Alfa Sud di Pomigliano d'Arco. Con loro trascorre quello che sarà un lungo pomeriggio, mentre sul suo tavolo si affollano centinaia di fogli che iniziano tutti con la formula "Compagno Berlinguer voglio chiederti..." prestampata dal partito, a cui loro hanno aggiunto domande, richieste, riflessioni. I lavoratori si alzano in piedi, ognuno di loro si introduce dicendo nome e reparto di appartenenza (presse, verniciature, ecc.), leggono le loro domande, inciampano sulla pronuncia di Afghanistan, ma nei loro occhi c'è la gratitudine per quell'uomo minuto che con pazienza e interesse prende appunti e ragiona con loro.

Berlinguer risponde con la sua voce ferma e precisa. Spiega con calma a quei compagni quanto profondamente sia da rinnovare la società italiana per sradicare la disoccupazione e soprattuto le sue cause. "Perché noi vogliamo una società che rispetti tutte le libertà. Meno una. Quella di sfruttare il lavoro di altri esseri umani. Perché questa libertà tutte le altre distrugge e rende vane". Conduce i suoi interlocutori attraverso le difficili letture dei fatti internazionali dall'invasione della Cecoslovacchia al golpe in Cile. Ribadisce la posizione di dissenso, sua e del partito, sulla presenza delle truppe russe in Afghanistan. Spiega senza tentennamenti che "la rivoluzione non si esporta" e che quella in corso nel paese asiatico rivoluzione non è. Condivide con loro i timori per una politica internazionale che corre verso l'aumento degli armamenti atomici che ha all'orizzonte una guerra nucleare. Pur nella ovvia deferenza degli operai nei confronti del loro illustre interlocutore, nelle immagini montate con sapienza da Pisanelli, nessuna barriera, sociale o culturale, appare tra Berlinguer e i lavoratori di Pomigliano d'Arco. Si percepisce in modo distinto la voglia di ascolto che ha il segretario del partito e la necessità che hanno quelle persone di idee e spiegazioni che facciano superare le difficoltà di ogni giorno.

 

Guardandolo in questi giorni, non si può non pensare anche alle tante inchieste che segnalano la distanza che c'è ora tra il Partito democratico e gli altri partiti "figli" del Pci di Berlinguer dalla "classe operaia". Ma quelle immagini ingiallite non ci raccontano dove è andata a finire quella voglia di ascoltare, quella pazienza, quella disponibilità a ragionare con agli operai per affrontare il mondo "insieme".

11 giugno 2009

 

 

 

 

 

 

L'omaggio di Fini: "Per lui la mia ammirazione"

L'11 giugno del 1984 moriva Enrico Berlinguer. In occasione del venticinquesimo anniversario dalla sua scomparsa, cerimonia organizzata dalla Camera dei Deputati, in presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Tra i protagonisti della giornata, oltre a Alfredo Reichlin, anche il presidente della Camera Gianfranco Fini.

"Erano certamente altri tempi e, quindi, erano anche altri uomini. Sicuramente non avrebbe senso rimpiangere quei tempi", ma "credo che abbia senso riservare ammirazione per quegli uomini e, in questa occasione, certamente per Enrico Berlinguer" ha detto Fini. Fini ha ricordato un aneddoto legato ai funerali di Berlinguer, quando in fila tra la folla dei militanti comunisti, si inserì, da solo, per rendere omaggio alla salma dell'avversario, il segretario del Msi, Giorgio Almirante: "Fu riconosciuto - ha raccontato Fini - e furono avvertiti i dirigenti del partito. Scese Giancarlo Pajetta e gli disse: "Prego accomodati". Quando nel pomeriggio chiesi ad Almirante perché fosse andato da solo, mi rispose: "Da solo, perché non dovevo temere nulla, perché oltre il rogo non v'è ira nemica..." e poi mi confidò di essere rimasto colpito dal fatto che Berlinguer avesse voluto portare fino in fondo il suo comizio a Padova, fino all'estremo sacrificio".

"Per un'ironia del destino - ha concluso Fini - qualche tempo dopo anche Almirante in occasione del suo ultimo comizio a piazza del Popolo ebbe un malore. Sopravvisse, ma dopo pochi mesi morì. La salma venne esposta a via della Scrofa, nella sede del Msi di cui io ero divenuto segretario. Mi raggiunse una telefonata: "Sono Pajetta, devo mettermi in fila?". Io gli dissi: "No, vieni"...".

"Nel richiamo al nesso tra etica e politica" legato al tema della questione morale lanciato da Enrico Berlinguer "si esprime un più generale spirito repubblicano, quello stesso spirito che anche oggi deve rimanere come valore condiviso tra i diversi schieramenti politici" ha detto ancora il presidente della Camera in occasione dei venticinque anni dalla scomparsa dello storico segretario del Pci, alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Per Berlinguer, ha rilevato Fini, la questione morale "non fu solo l'orgogliosa rivendicazione della presunta diversità comunista, fu anche la capacità di guardare in profondità alle dinamiche in atto nella politica italiana, nel momento in cui si manifestavano le prime crepe nel rapporto di fiducia tra la politica stessa e la società".

Citando una frase di Massimo D'Alema, Fini ha ricordato: "La questione morale posa in realtà il problema della democrazia e delle sue basi di consenso e di legittimazione che si sgretolano se viene meno il nesso tra etica e politica", insomma "non possiamo dire che, nella questione morale sollevata da Berlinguer, fossero presenti valori riconosciuti soltanto dalla sinistra italiana". Enrico Berlinguer compì lo strappò da Mosca, ma non ruppe definitivamente con il comunismo, "non impresse una svolta ancora più profonda e radicale alla linea del suo partito, come un'altra generazione di dirigenti comunisti avrebbe fatto all'inizio degli anni Novanta".

"La domanda che appassiona ancor oggi molti storici - ha rilevato Fini - è perchè al tempo di Berlinguer non ci fu un evento che assomigliasse a una Bad Godesberg, una profonda revisione ideologica che potesse più compiutamente avvicinare il Pci alla grande socialdemocrazia europea di Helmut Schmidt, Francois Mitterrand e Olaf Palme. Ritengo che una tale domanda, nel caso di Berlinguer, serva a farne risaltare ancor di più lo spessore politico e la capacità di visione strategica. Non ce la porremmo se non ci trovassimo di fronte, come appunto ci troviamo, a un uomo che ha scritto capitoli decisivi nella vita, non solo della sinistra, ma dell'intera politica italiana".

Stasera uno speciale di "La Storia siamo noi" sarà dedicato al leader politico.

11 giugno 2009

 

 

 

 

 

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Enrico Berlinguer

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Monogramma della Camera dei deputati Parlamento Italiano

Camera dei deputati

On. Enrico Berlinguer

Luogo nascita Sassari

Data nascita 25 maggio 1922

Luogo morte Padova

Data morte 11 giugno 1984

Titolo di studio

Professione Politico

Partito PCI

Legislatura V, VI, VII, VIII, IX.

Gruppo PCI

Coalizione

Circoscrizione Roma

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Senatore a vita

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Incarichi parlamentari

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" La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico. "

(Enrico Berlinguer)

Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984) è stato un politico italiano. Fu segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 1972 fino alla morte.

Indice

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* 1 Biografia

* 2 Leader di partito

* 3 La segreteria

* 4 Il partito in movimento

* 5 La ricerca del consenso

* 6 La presentabilità e la presentazione

o 6.1 PCI: Partito Comunista Internazionale

* 7 La questione morale

* 8 Le rivolte

* 9 "Berlinguer non è la Madonna"

* 10 Il '78

* 11 Il ritorno all'opposizione

* 12 La morte a Padova

* 13 Note

* 14 Scritti di Enrico Berlinguer

* 15 Bibliografia

o 15.1 Canzoni

* 16 Altri progetti

* 17 Collegamenti esterni

Biografia [modifica]

I genitori di Enrico Berlinguer nel 1930.

Enrico nacque a Sassari nel 1922 da Mario Berlinguer (avvocato, deputato socialista) e Maria Loriga. La famiglia, appartenente alla piccola nobiltà rurale sassarese di tradizioni massoniche, gli permise di crescere in un ambiente culturalmente assai evoluto (il nonno, suo omonimo, era il fondatore del giornale "La Nuova Sardegna", e fu amico di Garibaldi e di Mazzini) e di profittare di relazioni familiari e politiche che influenzarono notevolmente la sua ideologia e la carriera politica successiva. Era cugino di Francesco Cossiga - che fu presidente della Repubblica - ed entrambi erano parenti di Antonio Segni, anch'egli capo di stato.

Nel 1943 Berlinguer si iscrisse al Partito Comunista Italiano (PCI) e ne organizzò la sezione sassarese, svolgendo un'intensa attività di propaganda, che lo rese un osservato speciale della questura. Nel gennaio del 1944 la fame spinse la popolazione a saccheggiare i forni della città e Berlinguer fu accusato, a torto, di esserne stato uno degli istigatori. Fu quindi arrestato e trattenuto in carcere per tre mesi, dopo i quali fu prosciolto dalle accuse e liberato.

Dopo la sua scarcerazione, il padre lo portò a Salerno, luogo in cui la famiglia reale e il governo di Badoglio avevano trovato rifugio dopo l'armistizio di Cassibile fra l'Italia e gli alleati. Nella città campana il padre gli presentò Palmiro Togliatti, che era stato suo compagno di scuola. Berlinguer fece una buona impressione e perciò nel maggio del 1945 fu inviato a Milano, dove collaborò con Luigi Longo e Giancarlo Pajetta.

Dopo un breve periodo come vicesegretario del PCI in Sardegna, Togliatti lo richiamò a Roma. Nel 1949 fu nominato segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana, carica che avrebbe mantenuto sino al 1956 e l'anno seguente divenne segretario della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, un'associazione internazionale di giovani marxisti.

In questa veste Berlinguer visitò insieme a Nerio Nesi l'Unione Sovietica, ma nel 1957 abolì l'obbligatorietà di tale visita (comprendente anche corsi di formazione politica), sino ad allora (anche solo ufficiosamente) passaggio necessario di tutti i dirigenti che intendessero fare carriera nel partito. [senza fonte] Il 29 settembre 1957 sposò a Roma Letizia Laurenti da cui ebbe quattro figli: Bianca Maria (Roma, 9 dicembre 1959), Maria Stella (Roma, 16 novembre 1961), Marco (Roma, 7 gennaio 1963) e Laura (Roma, 6 maggio 1970).

Tra i parenti stretti, molti hanno abbracciato la carriera politica. Il fratello Giovanni è uno dei leader del movimento politico Sinistra democratica mentre il figlio Marco è membro della Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista. Il cugino di Enrico, Luigi Berlinguer, è stato ministro della Pubblica Istruzione e senatore tra le file dei Democratici di Sinistra.

La figlia Bianca è giornalista e da anni conduce telegiornali e approfondimenti per il TG3 , così come Laura, che lavora a Studio Aperto.

Leader di partito [modifica]

" Si iscrisse giovanissimo alla direzione del PCI. "

(Giancarlo Pajetta[1])

Eletto per la prima volta deputato nel 1968, per il collegio elettorale di Roma, si fece portavoce della corrente progressista e popolare del partito. Nominato, nel corso del XII congresso, vice-segretario nazionale (durante la segreteria di Luigi Longo), guidò nel 1969 una delegazione del partito ai lavori della conferenza internazionale dei partiti comunisti che si tenne a Mosca; in tale occasione, trovandosi in disaccordo con la "linea" sovietica (fonte massima degli indirizzi dell'Internazionale comunista), a sorpresa rifiutò di sottoscrivere la relazione finale.

La presa di posizione, inattesa quanto "scandalosa", fu memorabile: tenne il discorso decisamente più critico in assoluto fra quelli che mai leader comunisti abbiano tenuto a Mosca [2], rifiutando tassativamente la "scomunica" dei comunisti cinesi e rinfacciando a Leonid Brežnev che l'invasione sovietica della Cecoslovacchia (che defině espressivamente la "tragedia di Praga") aveva solo evidenziato le radicali divergenze affioranti nel movimento comunista su temi fondamentali come la sovranità nazionale, la democrazia socialista e la libertà di cultura.

Nel 1970 Berlinguer proclamò un altrettanto inattesa apertura verso il mondo dell'industria: dichiarando che il PCI guardava con favore ad un nuovo modello di sviluppo, inseriva il partito in un dibattito politico-economico fino ad allora considerato tabù per i comunisti.

Enrico Berlinguer ad un comizio a Borgo San Lorenzo

La segreteria [modifica]

Raggiunta prima del previsto a causa dei disagi medici patiti da Longo, che dovette prima delegare e poi definitivamente "abdicare" (nel 1972), la sua segreteria fu caratterizzata da un lato dal tentativo di collaborare con la DC nella prospettiva di realizzare riforme sociali ed economiche che considerava indispensabili, dall'altro dalla convinzione della necessità di rappresentare un nuovo comunismo indipendente dall'URSS (chiamato "eurocomunismo").

Negli anni in cui Berlinguer fu segretario il PCI raggiunse il suo massimo storico, il 34,4% del '76 e pare corretto affermare che il partito fu diretto principalmente, se non esclusivamente, dal suo operato e dalle sue scelte[senza fonte]; i contributi degli apparati di partito e della "nomenklatura" interna sono stati da molti analisti[senza fonte] considerati come meramente strumentali ed avrebbero solo consentito che, dell'esponente sassarese, il "genio politico" (questa definizione, di ovvia fonte, non è cassata dagli oppositori ed è ben accetta dagli storici[senza fonte]) potesse liberamente esprimersi, conducendo monocraticamente un movimento di antica ispirazione collettivistica.

Nell'età in cui si raccolsero nel partito, forse con la maggior concentrazione, alcune delle più nitide intelligenze politiche, la minuta figura di Berlinguer, schivo ed in apparenza timido, dal muovere serio e misurato, sarebbe svettata per silente acclamazione accompagnata dal beneplacito di fondo della non trascurabile opposizione interna.[senza fonte]

E nelle ardite scelte berlingueriane, interne ed estere, rischiose quanto accortamente studiate, si incanalarono gli andamenti del partito di opposizione più importante dell'Italia repubblicana e del partito comunista più importante del mondo dopo quello sovietico, in un decennio che si sarebbe rivelato fra i più importanti della storia recente.[senza fonte] Dopo Gramsci e Togliatti, secondo molti storici, nessuno avrebbe più incarnato la storia del partito come ne fu capace Berlinguer; e per qualcuno degli studiosi è un "dopo" solo temporale.[senza fonte]

Il partito in movimento [modifica]

Enrico Berlinguer al XIII Congresso del PCI nel 1972

Nel 1973 si verificano alcuni avvenimenti che segneranno profondamente le scelte del PCI nel successivo decennio. L'11 settembre, in Cile, un colpo di Stato spazza via il Governo di sinistra guidato da Salvador Allende, sostituendolo con una giunta militare capeggiata dal colonnello Augusto Pinochet. Il 3 ottobre 1973, al termine di una visita ufficiale a Sofia, la limousine su cui viaggia, una GAZ-13 Chaika, è investita da un camion militare. Berlinguer si salva miracolosamente, l'interprete ufficiale muore e gli altri due passeggeri (esponenti della dissidenza nel Partito Comunista Bulgaro) rimangono gravemente feriti. I retroscena di questa tragica vicenda restano segreti fino al 1991, quando Emanuele Macaluso, senatore del PDS ed ex dirigente comunista, rilascia un'intervista al settimanale Panorama dichiarando che il segretario del PCI, appena rientrato a Botteghe Oscure, gli avrebbe rivelato il sospetto che si fosse trattato in realtà di un "falso incidente", orchestrato ad arte dal KGB e dai servizi segreti bulgari per porre fine allo scomodo alleato Italiano. Dopo la convalescenza seguita alle ferite riportate, Berlinguer scrisse per "Rinascita" tre famosi articoli intitolati "Riflessioni sull'Italia", "Dopo i fatti del Cile" e "Dopo il golpe del Cile", in cui sviluppava alcuni temi che abbozzavano la proposta del "compromesso storico" come possibile soluzione preventiva dinanzi alla deriva istituzionale che lasciava paventare possibili soluzioni di stile sud-americano.

L'anno successivo Berlinguer principiò a Belgrado una sorta di campagna di sensibilizzazione internazionale degli altri movimenti e partiti comunisti, incontrando per primo il maresciallo Tito; molti incontri di funzionari minori del partito con omologhi dei partiti comunisti di altri stati, preparavano frattanto la strada diplomatica per relazioni privilegiate con alcuni di essi.

Fu nel 1976 che il PCI berlingueriano varcava il suo Rubicone e muoveva incontro al famosissimo strappo, la rottura politica con il PCUS (il partito comunista sovietico): in occasione di un congresso a Mosca, dinanzi a 5.000 attoniti delegati provenienti da tutto il mondo, Berlinguer parlò in aperto contrasto con le posizioni "ufficiali" di "sistema pluralistico" (che l'interprete simultaneo coscienziosamente rese come "sistema multiforme") e descrisse l'intenzione del PCI di costruire un socialismo "che riteniamo necessario e possibile solo in Italia".

A chiarire che la frattura non era ricomponibile, vi aggiunse la ferma condanna del PCI per ogni tipo di "interferenza" sovietica (sia verso l'Italia che verso altri paesi).[senza fonte]

Da parte del Cremlino si replicò[senza fonte] che essendo l'Italia sotto un marcato controllo della NATO, si era costretti a concludere che l'unica interferenza davvero sgradita ai comunisti italiani fosse quella sovietica. Berlinguer, del resto, avrebbe loro risposto, attraverso un'intervista rilasciata a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, di sentirsi più tranquillo "sotto l'ombrello della NATO".

La ricerca del consenso [modifica]

Il programma seguito dal sempre più dinamico segretario intendeva aprire al partito strade nuove per allargare il consenso. L'ampio seguito elettorale non era infatti, da sé, sufficiente a consentire che il PCI potesse, con la necessaria autorevolezza, partecipare della vita democratica del Paese; vi erano diversi motivi di esclusione, che il segretario si propose di abbattere.

I comunisti, scomunicati da Papa Pacelli dopo le elezioni politiche del 1948, cercavano intanto di uscire da un isolamento ideologico che nel propugnare idee di tutela del ceto proletario, e nel volerne rappresentare gli interessi, li aveva in pratica relegati a questa sola funzione politica. Sostenitori inoltre della dottrina marxista (come, peraltro, sempre meno visibilmente erano gli altri movimenti della sinistra, da tempo in verità assai occupati a diluirne le asperità), erano fisiologicamente invisi all'elettorato cattolico come a quello dei ceti più elevati e le vicinanze "pre-strappo" con la Russia, avversaria del Patto Atlantico nella guerra fredda, destavano più di un'inquietudine fra coloro che ne sostenevano la fazione occidentale.

Con sagace scelta di tempi, Berlinguer rese di pubblica notorietà una sua privata corrispondenza con il vescovo di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi, che avrebbe dovuto testimoniare della "possibilità" di un dialogo intellettuale e sociale (e poi, certo, anche politico) fra cattolici e comunisti.

Al contempo, però, montavano le tragiche proporzioni del terrorismo, che cresceva di "qualità" e di quantità di vittime, all'inizio di un periodo che sarebbe poi stato definito degli "anni di piombo". La pericolosa espansione operativa delle Brigate Rosse, un gruppo che dichiarava di agire per il proletariato e contro il "Sistema Imperialista delle Multinazionali", proponendosi cioè (nelle sue comunicazioni a seguito di crimine) come difensore dell'elettorato del PCI e nemico dei nemici del PCI, fu interpretata a livello popolare (complici anche talune non disinteressate insinuazioni che una parte della stampa non mancò di amplificare) con un presuntivo accostamento del partito alla banda armata (e viceversa).

Il sospetto che il partito proteggesse i terroristi, che ne fosse in qualche modo colluso o connivente, fu difficile da smontare, stanti anche alcuni coinvolgimenti di funzionari o di militanti effettivamente rivelatisi fiancheggiatori. Il danno di immagine, il pregiudizio sulla praticabilità di un contatto con il PCI e la diminutio subita dalle precedenti strategie di "popolarizzazione" erano pesanti.

La presentabilità e la presentazione [modifica]

Il contatto col mondo cattolico si rese allora più intensivamente ricercato da parte del partito e fu creata la formula del "catto-comunismo", con la quale si pubblicizzavano ed esaltavano i punti di contatto con le componenti dei partiti cattolici (ma essenzialmente della DC) più attente alle tematiche sociali, con i cosiddetti "basisti" (cioè rappresentanti della "base", l'elettorato di basso ceto) degli altri schieramenti.

Furono perciò coronate da grande enfasi ciascuna e tutte le piccole e grandi occasioni di convergenza ideale su punti specifici delle tematiche sociali; ciò non mancò di essere stigmatizzato da taluni come "rigurgito di qualunquismo" o come "apoteosi del volemose bene" (ad intendere un certo modo politico disinvoltamente superficiale), sebbene un certo effetto di "sdoganamento" (come lo si potrebbe chiamare oggi) vi sia effettivamente stato.

Nelle elezioni politiche del 20 giugno 1976 il PCI (che aveva ormai abbandonato le cordate elettorali allestite insieme ad altre forze - ad esempio il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) ottenne da solo il 34,4% dei voti e 227 seggi alla Camera dei Deputati e il 33,8% dei suffragi con 116 seggi al Senato della Repubblica: la differenza rispetto ai voti ottenuti dalla DC era di pochi punti percentuali, molti di meno rispetto alle precedenti votazioni, avvicinando il PCI ad una quota di elettorato che poteva eventualmente ambire anche alla maggioranza relativa.

Molti incominciarono perciò a rispettivamente sperare e temere un possibile "sorpasso". I comunisti, consci delle difficoltà dell'impresa, cominciavano comunque a lavorarci su. Dalla loro parte iniziavano a ricevere i positivi risultati della gestione di alcuni importanti enti locali (regioni, province e comuni) nei quali le giunte comuniste, che ambivano all'impeccabilità, davano comunque ottimi risultati: nelle cosiddette "regioni rosse" (Emilia-Romagna e Toscana in testa) i servizi funzionavano, le cooperative davano lavoro e producevano utili, mentre l'impresa privata (soprattutto le piccole e medie imprese, anche artigianali) prosperava dopo gli affanni della crisi del 1974.

Il successo del '76 era per una parte rilevante dovuto anche a questo "tirocinio" amministrativo, a queste esperienze di governo minore che la gente percepiva, oltre che in modo più direttamente sensibile, come buona prova, come ottima presentazione del partito per un eventuale affido governativo.[senza fonte]

PCI: Partito Comunista Internazionale [modifica]

Giorgio Napolitano con Berlinguer

Forte delle posizioni acquisite in patria, il PCI intensificò le sue attività internazionali. L'invocato progetto per un eurocomunismo prese corpo a Madrid l'anno successivo, durante un incontro con Santiago Carrillo, leader dei comunisti di Spagna, e Georges Marchais, condottiero di quelli di Francia. I tre esponenti, parzialmente seguiti anche, sebbene in forme meno espansive, da omologhi leader di altri paesi, sostennero la necessità di affrancamento dal costante controllo sovietico, in favore della libera ricerca delle vie più opportune, paese per paese, per costruire il socialismo; corollario di questa istanza grosso modo autonomista, era il valore positivo attribuito al rispetto per le libertà religiose e di cultura, dogmaticamente bollate come eretiche dalla dottrina e dalla prassi moscovita.

Proprio a Mosca Berlinguer sarebbe andato ancora una volta pochi mesi dopo, nuovamente per tenervi un discorso profondamente sgradito, al punto che stavolta il testo fu addirittura censurato dalla Pravda, organo ufficiale del PCUS. Vi espose le nuove teorie eurocomuniste, sottolineò l'opportunità di concorrere per l'accesso al governo dei rispettivi paesi usando tutte le regole del metodo democratico (ed implicitamente esprimendo la necessità di rinunciare a pratiche più spicce, come suggerito e talvolta applicato dalla dirigenza centrale). Ed enunciò una serie di principi in netto contrasto con valori dati per assodati ed immutabili dalla storia e dalla tradizione dell'Internazionale, come la rinuncia alla pretesa del partito unico.

Durante l'incontro con Fidel Castro

Si è variamente interpretato questo viaggio di Berlinguer, ed oltre al prevedibile, ma labile, sospetto che potesse trattarsi di manovrina a fini elettorali nazionali, si avanzò l'insinuazione che il partito italiano ambisse ad una posizione più centrale nell'internazionale comunista. Si sostenne in pratica che Berlinguer considerasse plausibile (ed alla sua portata) proporsi come principale esponente dei partiti "non allineati", formazioni in genere provenienti da regimi comunisti per qualche ragione in dissidio con l'URSS; secondo i malevoli Berlinguer avrebbe inteso strappare l'egemonia dell'Internazionale al PCUS (quantunque la posizione di supremazia sovietica non fosse solo basata sul prestigio della primogenitura, ma anche, più concretamente, sul supporto economico e militare, che per alcuni dei paesi satelliti era più che vitale - e malgrado talune posizioni degli eurocomunisti andassero nel senso di deprivare di significato l'Internazionale).

La frattura (o meglio il suo aggravio) sarebbe servita, secondo questa visione, a provare la possibilità concreta di rompere il vincolo di dipendenza con il PCUS; il progetto di alleanza con le forze marxiste asiatiche (cinesi in testa) avrebbe potuto, in questo senso, spostare l'asse intorno al quale si aggregavano i comunisti di tutti i paesi, alternativamente verso l'eclettico e raffinato PCI, ovvero verso il radicale e concreto PCC (Partito Comunista Cinese).

Qualunque fosse la sua reale intenzione, Berlinguer guadagnò comunque il proscenio e l'acuta attenzione dei "compagni" di tutto il mondo, intensificando ulteriormente le relazioni internazionali del partito.[senza fonte]

La questione morale [modifica]

Enrico Berlinguer in primo piano; alle sue spalle Pietro Ingrao e Giancarlo Pajetta

Se l'Italia repubblicana era stata ornata di un ingente quantitativo di scandali di corruttela e malversazione, molti dei quali degni di attenzione giudiziaria, il PCI restava relativamente nitido quanto a correttezza di gestione politica (perché - obiettavano dalla maggioranza - non aveva mai messo le mani sul governo). Questa sorta di fedina penale pulita consentì a Berlinguer di lanciare una campagna moralizzatrice (del resto non nuova, essendosi già prodotti gli esperimenti del Partito Radicale) che, con una certa strumentalità, puntava il dito contro il cattivo uso (e spesso l'abuso) della cosa pubblica.

La questione morale divenne centrale nella propaganda del PCI e trovò una singolare sintonia di fatto con analoghe posizioni puriste del Movimento Sociale Italiano, per una volta coincidente nell'indirizzo critico verso la DC, che deteneva il potere stabilmente dai tempi dell'attentato a Togliatti. Da entrambi i partiti stabilmente d'opposizione si parlava intuibilmente di "regime", intendendo che la DC avesse blindato i meccanismi di perpetuazione del suo potere in spregio della correttezza (e talvolta della legalità).

L'accostamento coi missini, però, quantunque non ricercato, consentì agli avversari di marcare la campagna come becero strumento propagandistico da parte di soggetti per volontà dell'elettorato non ammessi a gestire la cosa pubblica; l'obiezione (in fondo l'unica opposta di una qualche serietà) riuscì a rinfrancare l'elettorato di maggioranza, non provocando grossi scossoni, sebbene il tarlo della diffidenza avesse cominciato a logorarne alcune certezze.

La spinta etica berlingueriana gli sarebbe sopravvissuta, conducendo tempo dopo al vibrato coinvolgimento delle sinistre nel dibattito politico susseguente allo scandalo di Tangentopoli.

Le rivolte [modifica]

La seconda metà degli anni '70 si spendeva con un certo affanno fra problemi di capitale importanza: la crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo. Si suole indicare nel 1977 l'annus horribilis (secondo alcuni punti di vista) delle rivolte: echi sessantottini vibravano di nuovo con forza fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il "confronto", cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, molti estremisti provenienti da classi sociali diverse si rivoltavano in armi contro avversari politici ed istituzioni e la sinistra stessa era soggetta a dispute interne.

Berlinguer si rivoltò contro la pregiudiziale anticomunista che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. Mandò avanti Giorgio Amendola, rappresentante (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo ritenuto capace di dialogare coi non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per "far parte a pieno titolo del governo". Esattamente il giorno successivo alla sortita, ma la si è sempre considerata una coincidenza, gli Stati Uniti sostituirono il loro ambasciatore a Roma John Volpe, con Richard Newton Gardner e, sempre lo stesso giorno, oltreoceano iniziò una campagna di stampa con cui si sosteneva che impedire l'accesso ai governi europei dei partiti comunisti fosse un dovere costituzionale americano. A pochissime ore di distanza, Berlinguer volava in Romania per incontrare il presidente-dittatore Nicolae Ceauşescu che cercava di mantenere una posizione relativamente autonoma da Mosca.

Pochi giorni ancora e "L'Unità" avrebbe iniziato a parlare della ancora segreta loggia P2. Ancora un brevissimo intervallo e si ebbe la visita in Italia del vicepresidente americano Walter Mondale.

Non restava immobile l'Unione Sovietica, che attraverso la Pravda si scagliò contro il movimento dissidente cecoslovacco "Charta 77", provocando una immediata reazione di protesta da parte dei partiti comunisti avvicinatisi alle posizioni berlingueriane, ed ovviamente dello stesso leader. Il crescere della distanza PCI - PCUS, però non impedì che proprio in questa fase dalla Unione Sovietica giungessero al PCI finanziamenti di importo rilevante: 4 milioni di dollari a titolo di "fondo di assistenza" stanziati dal Politburo da essere versati in 4 rate trimestrali ciascuna di 1 milione di dollari tramite il KGB (e altri 30.000 dollari per il Partito Comunista Sammarinese)" [3].

Nel febbraio 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico.

Sempre in febbraio, Berlinguer, durante un dibattito televisivo, discutendo sull' autonomia del Pci ed i legami con gli altri partiti comunisti dichiarava: "Non vedo perché dovremmo troncare questi rapporti né perché questa rottura dovrebbe essere considerata, da chi non saprei, prova del carattere democratico del nostro partito" [3]

Nell'aprile successivo, l'ambasciatore statunitense Gardner incontrò Eugenio Scalfari, il quale gli avrebbe confidato la sua impressione che "soltanto quando Berlinguer assumerà il controllo della polizia ci sarà pace civile in Italia"; Gardner raccontò poi di analoghe indicazioni ricevute da Leopoldo Pirelli ed altri esponenti del mondo economico, mentre Giulio Andreotti gli avrebbe dichiarato che credeva nella sincerità della svolta occidentalista della dirigenza comunista, ma nutriva dubbi sul sostegno a questa svolta da parte della base del partito [3].

Nel settembre 1977, nel pieno degli scontri di Bologna che avvennero in quel mese, Berlinguer accusò gli autonomi e parte dei movimenti giovanili di "essere fascisti". A quest’affermazione rispose Norberto Bobbio sulle pagine della Stampa [4], affermando che: "l’accusa generalizzata di fascismo a tutti i movimenti alla sinistra del partito comunista è storicamente scorretta". Berlinguer, con una lettera inviata allo stesso giornale e pubblicata il giorno seguente, ribatté che le persone aventi "come bersaglio principale il movimento operaio e il Pci" erano per lui "lucidi organizzatori di un nuovo squadrismo" e "non sono definibili con altro termine se non quello di nuovi fascisti".

Nell'ottobre 1977, Berlinguer, proseguendo le manovre per raggiungere il compromesso storico, cercando di dissipare le paure dei cattolici italiani, apre un dialogo con l' allora vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi, tramite la pubblicazione sulla rivista Rinascita, di lettere scambiatisi in cui afferma di volere "realizzare una società che, senza essere cristiana, cioè legata integralisticamente a un dato ideologico, si organizzi in maniera tale da essere sempre più aperta e accogliente verso i valori cristiani"; le lettere sono pubblicate sotto il titolo comune significativo di "Comunisti e cattolici: chiarezza di principi e base di un’intesa".

"Berlinguer non è la Madonna" [modifica]

L'inconsueta rivelazione campeggiò a firma di Eugenio Scalfari sulla prima pagina de La Repubblica, al culmine di una serie di processi dialettici ruotanti intorno ad un nascente "culto" del leader sardo, culto che si impennò dopo lo "strappo" e del quale Montanelli[5] commentò che andava "assumendo connotati quasi sacrali, e a volte grotteschi".

Il tutto, facendo un passo indietro, era nato il 2 dicembre 1977 a Roma, dove Pierre Carniti aveva condotto un'affollatissima manifestazione di operai metalmeccanici durante la quale aveva messo in mora governo e "padroni", agitando lo spettro di uno sciopero generale e di una lotta sindacale durissima nel caso le sue richieste non fossero state esaudite. Dal momento che il PCI seguiva i delicati negoziati per l'avvicinamento al compromesso storico, [6] e che la dirigenza comunista - forse anche per questo - era rimasta silente riguardo alla questione (per la delusione dei metalmeccanici), su Repubblica apparve una delle più note vignette satiriche di Giorgio Forattini, che disegnava un borghesissimo Berlinguer in vestaglia intento a sorseggiare un tè sotto un ritratto di Marx, mentre dalla finestra aperta di questo suo salotto penetravano gli echi fastidiosi della manifestazione.

La vignetta suscitò animate reazioni e dal PCI si tuonò contro Forattini e contro la testata. Paolo Spriano scrisse una nota fiammeggiante in cui esaltò la "vita di sacrificio, di passione rivoluzionaria, di tensione politica e morale di un dirigente comunista come Berlinguer"[7]. In questo clima di ormai scoperte celebrazioni, Vittorio Gorresio solo l'anno prima aveva pubblicato una biografia del segretario[8] in cui gli aveva attribuito la partecipazione ad una protesta su questioni di servizi locali nella località di Stintino[9] alla strabiliante età di 8 anni. Lasciando a Montanelli agio di definire sarcasticamente Berlinguer "Un Mozart della rivolta sociale".

Spriano, la cui reazione alla vignetta era diventato un caso politico, aveva rivolto il suo attacco anche contro la testata, Scalfari pubblicò perciò un articolo nel quale il leader sardo veniva reinquadrato in una visione più realistica ed al quale diede il suggestivo titolo prima detto.

Il '78 [modifica]

Il 1978 fu l'anno del destino, per il PCI.

Iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale "identità di vedute", espressione tradotta dagli analisti come una sorta di "via libera" (o di "non nocet") del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente.

Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.

Moro era il presidente della DC, e condivideva con il leader comunista alcune caratteristiche molto invitanti per potervi intessere un dialogo potenzialmente utile: erano entrambi sottili intellettuali[senza fonte], lungimiranti politici[senza fonte] ed abili[senza fonte] nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili "convergenze parallele", sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire ad utile accordo la sterile distanza[senza fonte] che sino ad allora aveva diviso DC e PCI.

Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito ad una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico.

Moro individuava nel fino ad allora demonizzato avversario un possibile alleato che gli avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a sé stesso in simili ambasce. Nell'aborrita DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno[senza fonte], come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer, sebbene ora un'eventuale presa forzosa del potere potesse essere tentata da organizzazioni tanto filo-americane quanto filo-sovietiche. Il compromesso storico, in quest'ottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte.

Delle tante motivazioni addotte per spiegare le ragioni di un simile passo, le più elegante vuole che due grandi politici (il termine statisti non è per cause di fatto applicabile anche a Berlinguer) abbiano rispettivamente cercato interlocutori di pari calibro, forse stanchi di almanaccare possibili machiavelliche composizioni di coalizione con soggetti non casualmente di minor peso specifico.

Ad ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato.

Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare ad una possibile intesa coi comunisti, si preparava nel marzo del 1978 il governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto fornire appoggio esterno (avrebbe cioè dovuto garantire astensione o favore, ma non opposizione), in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente ed a pieno titolo nelle coalizioni. Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia e Gaetano Stammati, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti giusto la notte precedente la presentazione alle Camere; insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette perciò sveltamente decidere di ritirare l'appoggio al governo, rinunciando alla partecipazione del PCI alla maggioranza.

La stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, e ad accordi appena infranti, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la "calcolata determinazione" di un attacco che pareva studiato per mandare a pallino tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana. La fiducia fu dunque data, ma non senza che Berlinguer precisasse per bene che l'espediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, era stato soltanto "superato dagli eventi", la questione non era in realtà affatto chiusa, solo rinviata. Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma questo, "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", gli fu risparmiato.

Durante il sequestro Moro, Berlinguer prese posizione insieme al cosiddetto "fronte della fermezza", del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista. Dalla detenzione, Moro scrisse una frase che secondo alcuni era forse diretta al segretario comunista e ad Andreotti: "Il governo è in piedi e questa è la riconoscenza che mi viene tributata per questa come per tante altre imprese".

Il ritorno all'opposizione [modifica]

Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della maggioranza, Berlinguer non partecipava più alle riunioni a 6, insieme ai segretari del "pentapartito", il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo.

Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che, grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto certo non ritirò), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter insinuare al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti.

Quando si cominciò a parlare di Sandro Pertini come di un possibile candidato, si disse che Berlinguer avrebbe regalato uno dei suoi rari (almeno in pubblico) sorrisi: l'anziano esponente partigiano, sanguigno quanto radicale nei suoi modi, e non meno deciso nei suoi indirizzi, poteva sembrare davvero immune dalla voga anticomunista e lo si sospettava, lui che aveva addirittura sparato plateali fucilate contro una residenza di Umberto II di Savoia[senza fonte], assai distante da certe cerchie di intricati interessi di potere. Poteva essere, stimarono i comunisti, il momento di contare i voti delle sinistre, per verificare la possibilità di un "governo delle sinistre".

L'elezione di Pertini, in realtà, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il Garofano. Ed anche i post-risorgimentali repubblicani, guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti italiani.

L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura successe a sé stesso, con l'Andreotti quinquies, sul principio dell'anno successivo.

Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione.

Sandro Pertini ai funerali di Berlinguer

La morte a Padova [modifica]

L'Unità riporta la notizia della morte del leader comunista

Dopo una legislatura da parlamentare europeo (eletto nel 1979 per le liste del PCI), in vista delle successive elezioni del 1984 Berlinguer si recò a Padova il 7 giugno, sul palco di Piazza dei Frutti, dove effettuò un appassionato comizio. Mentre si apprestava a pronunciare la frase "Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda" venne colpito da un ictus. Evidentemente provato dal malore, continuò il discorso fino alla fine[10] [11], nonostante anche la folla, dopo i cori di sostegno, urlasse: "Basta, Enrico!". Le persone che lo stavano ascoltando lo trasportarono in albergo dove, si addormentò sul letto della sua stanza, entrando subito in coma. Venne chiamato un medico che constatò la gravissima situazione. Venne trasportato all'ospedale Giustinianeo, ma i soccorsi furono vani: un comunicato datato 11 giugno del sovrintendente sanitario affermò che il politico sardo era venuto a mancare alle 12:45.

Il Presidente della Repubblica Pertini, che si trovava già a Padova per ragioni di Stato, si recò in ospedale per constatare le condizioni di Berlinguer. Fece in tempo ad entrare in stanza per vederlo e baciarlo sulla fronte. Poche ore dopo il decesso, si impose per trasportare la salma sull'aereo presidenziale, citando la frase: "Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta". Commovente fu il suo saluto al funerale (13 giugno), al quale partecipò circa un milione di persone[12], dove si chinò con la testa sopra la bara, baciandola.[13]

Il corteo con la bara, accompagnato dalla musica dell'Adagio di Albinoni sfilò dalla sede del PCI, in via delle Botteghe Oscure, a piazza S. Giovanni[14], rendendo così palese l'ammirazione che una larga parte dell'opinione pubblica italiana aveva nei suoi confronti. Persino il segretario del MSI Giorgio Almirante si recò a rendere omaggio al feretro dell'avversario suscitando lo stupore della folla in coda per entrare nella camera ardente. A ricevere Almirante fu Giancarlo Pajetta al quale venne dato l'incarico di pronunciare l'orazione funebre di Berlinguer.

Il giorno delle elezioni europee, il 17 giugno 1984 il PCI, nonostante la scomparsa di Berlinguer, decise di lasciare il suo segretario capolista e chiese di votarlo in modo plebiscitario. Le elezioni, forse anche per gli eventi precedenti, decretarono la vittoria del PCI che, per la prima ed unica volta nella storia, sorpassò seppur di poco la DC, affermandosi come primo partito italiano (33,3% contro quasi il 33,0%), ricordato come "l'effetto Berlinguer". Precedentemente, con Berlinguer, il PCI nel 1976 ha toccato il massimo storico del 34,4%.

Per decisione della famiglia, Berlinguer è stato sepolto a Roma nel Cimitero di Prima Porta, nonostante il Partito avrebbe voluto che fosse tumulato al Cimitero del Verano nel Mausoleo dove riposano i grandi dirigenti comunisti Togliatti, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Longo e dove nel 1999 fu sepolta anche Nilde Iotti.

Soprannominato subito "il più amato" (a differenza di Palmiro Togliatti che era "il migliore"), Berlinguer fu succeduto alla guida del PCI da Alessandro Natta.

Note [modifica]

1. ^ Motteggio di vasta rinomanza, si trova, fra gli altri, in Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia degli anni di piombo, Rizzoli, 1991

2. ^ Così in "Berlinguer, un'idea", di Giorgio Galli et al., Mondadori, 1984.

3. ^ a b c Fonte:Archivi Fondazione Cipriani, [1].

4. ^ Norberto Bobbio, Un dialogo per Bologna, La Stampa, 22 settembre 1977

5. ^ Che peraltro questa rivelazione avrebbe definito rilasciata "con piena ragione".

6. ^ Il giorno precedente, primo dicembre, Berlinguer firmò una dichiarazione comune, con gli altri partiti dell'arco costituzionale, che ribadiva la NATO e la CEE cardini della politica estera italiana

7. ^ La sollevazione di Spriano, inoltre, è nota per l'analisi che ebbe a darne il vignettista Sergio Staino, il quale vi vide il riconoscimento dialettico del genere della vignetta come forma di comunicazione politica allegorica.

8. ^ Vittorio Gorresio, Berlinguer, Feltrinelli, 1976

9. ^ Località balneare alla moda, al tempo assai esclusiva e dove secondo Chiara Sottocorona (in Berlinguer, un'idea, cit.) i Berlinguer passavano le vacanze da generazioni.

10. ^ L'ultimo comizio di Berlinguer, parte I, filmato su Youtube

11. ^ L'ultimo comizio di Berlinguer, parte II, filmato su Youtube

12. ^ Funerale Berlinguer

13. ^ Funerale di Berlinguer con l'omaggio di Pertini, filmato su Youtube

14. ^ Il feretro di Berlinguer arriva in piazza San Giovanni, filmato su Youtube

Scritti di Enrico Berlinguer [modifica]

* Marisa Musu, Enrico Berlinguer, La lotta della gioventù per la democrazia, Roma, Centro Diffusione Stampa del Pci, 1947.

* Enrico Berlinguer, All'avanguardia della gioventù italiana. Discorso pronunciato il 6 luglio 1948 ai giovani operai di Torino, Roma, 1948.

* Enrico Berlinguer, Tutta la gioventù in lotta per la Pace. Discorso pronunciato il 17 ottobre 1948 al Congresso dell'alleanza giovanile di Modena, Modena, Arti Grafiche Modenesi, 1948.

* Alessandro Curzi, L'avvenire non viene da solo, Roma, Edizioni Gioventù nuova, 1949, presentazione di Enrico Berlinguer.

* Enrico Berlinguer, Una forte FGCI per la pace, l'avvenire, l'unita della gioventù. Rapporto presentato da E. Berlinguer al comitato costitutivo nazionale della FGCI (Roma, 8-9 novembre 1949), Roma, Edizioni Gioventù nuova, 1949.

* Enrico Berlinguer, I compiti della gioventù comunista. Rapporto presentato al 12° Congresso Nazionale della Fgci (Livorno 29 marzo-2 aprile 1950), Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1950.

* Enrico Berlinguer, Impediamo al fascismo di tradire la gioventù, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1950.

* Enrico Berlinguer, Ruggero Grieco, Gesta ed eroi della gioventù d'Italia. 30 anni di vita della Fgci, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1951.

* Enrico Berlinguer, L'unita della gioventù nel fronte del lavoro e della pace. Rapporto tenuto alla riunione del comitato centrale della Federazione Giovanile Comunista Italiana. Roma, 3-5 maggio 1951, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1951.

* Enrico Berlinguer, Un fronte patriottico della gioventù per l'indipendenza e la rinascita dell'Italia, Roma, 1952.

* Enrico Berlinguer, Per la gioventù, per l'Italia, per il socialismo. Rapporto di Enrico Berlinguer e discorso di Pietro Secchia al Comitato centrale della Fgci per la preparazione del 13° congresso nazionale, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1953.

* Enrico Berlinguer, L'avvenire della gioventù italiana. 13° congresso nazionale della Fgci. Rapporto presentato al 13° Congresso nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, Ferrara 4-8 marzo 1953, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1953.

* Enrico Berlinguer, La collaborazione tra la gioventù comunista e la gioventù cattolica, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1954.

* Palmiro Togliatti, Enrico Berlinguer, Le giovani comuniste per l'emancipazione della donna. Discorsi pronunciati alla Conferenza Nazionale delle ragazze comuniste. Roma, 26-28 febbraio 1954, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1954.

* Enrico Berlinguer, Per la pace per il rinnovamento d'Italia per l'avvenire della gioventù. Relazione presentata dal compagno Enrico Berlinguer al Comitato Centrale della Fgci. Roma, 22-23 febbraio 1953, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1955.

* Enrico Berlinguer, L'apertura a sinistra e la lotta dei giovani per il loro avvenire. 14° Congresso nazionale della Fgci, Milano 23-26 giugno 1955, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1955.

* Enrico Berlinguer, La figura morale della giovane comunista. Conversazione tenuta alle ragazze comuniste di Napoli il 23 dicembre 1955, Roma, Edizioni Gioventù Nuova, 1956.

* Enrico Berlinguer, Proselitismo e problemi attuali del rafforzamento e del rinnovamento del Partito. Rapporto alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci 19-22 gennaio 1961, Roma, 1961.

* Enrico Berlinguer, La forza, lo sviluppo e i compiti del Pci nel momento presente. Rapporto e intervento alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci del 20-23 dicembre 1961 - Risoluzione, Roma, 1961.

* Enrico Berlinguer, Il contributo autonomo del Pci all'unità del movimento operaio internazionale. Rapporto alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci, tenuta il 14 ottobre 1964, Roma, 1964.

* Enrico Berlinguer, Riprendere in Italia e nel mondo l'iniziativa unitaria per la pace e la distensione. Rapporto alla sessione del Comitato centrale del Pci, tenuta il 18-19 febbraio 1965. Risoluzione, Roma, 1965.

* Mario Alicata, Alessandro Natta, Enrico Berlinguer, Una nuova unità, un forte movimento di massa per battere il governo Moro, per una nuova offensiva di pace. Rapporti e informazioni alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del Pci, tenuta il 6-7-8 luglio 1965, Roma, 1965.

* Alessandro Natta, Enrico Berlinguer, Per una nuova politica interna, per la libertà e la pace nel Vietnam, per l'unità del Movimento comunista internazionale. Rapporti e conclusioni alla sessione del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del PCI tenuti il 21-22-23-24 febbraio 1967. Risoluzione, Roma, Visigalli-Pasetti, 1967.

* Front national de liberation Sud Vietnam, Vietnam : il programma del FNL. Testo adottato dal FNL del Vietnam del Sud in un congresso straordinario tenutosi a meta agosto 1967, Roma, 1967, introduzione a cura di Enrico Berlinguer.

* Le Duan, Il Vietnam e l'ottobre. Pace, rivoluzione e i più importanti problemi della strategia e della tattica del movimento internazionale di oggi in un saggio del segretario generale del Partito dei lavoratori del Vietnam, Roma, 1967, introduzione di Enrico Berlinguer.

* Antonio Gramsci, Scritti politici, Roma, l'Unità-Editori Riuniti, 1967, prefazione di Enrico Berlinguer.

* Luigi Longo, Enrico Berlinguer, L'unità del movimento operaio, Roma, editori riuniti, 1968.

* Luigi Longo, Enrico Berlinguer, La politica comunista, Roma, Editori riuniti, 1969.

* Enrico Berlinguer, Una nuova guida politica e la svolta che esige il paese. Discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 9 agosto 1969, Roma, 1969.

* Luigi Longo, Enrico Berlinguer, La Conferenza di Mosca. I problemi dell'internazionalismo oggi nel rapporto di Luigi Longo al Comitato centrale del Pci e nell'intervento di Enrico Berlinguer alla riunione di Mosca dei partiti comunisti; in appendice i documenti conclusivi della conferenza, Roma, Editori riuniti, 1969.

* Attraverso un'ampia e forte discussione politica difendere e sviluppare la realtà unitaria e democratica del nostro grande partito. Relazione di Alessandro Natta e intervento conclusivo di Enrico Berlinguer. Riunione del C.C. e della C.C.C. del 13-17 ottobre 1969, Roma, Pci, 1969.

* Renzo Laconi, Parlamento e Costituzione, Roma, Editori riuniti, 1969, a cura di Enrico Berlinguer e Gerardo Chiaromonte.

* Un Partito comunista rinnovato e rafforzato per le esigenze nuove della societa italiana. Noi, i giovani e il socialismo. Relazione e conclusioni alla sessione del Cc e della Ccc del Pci svoltasi dal 14 al 16 gennaio 1970; Interventi di Luigi Longo ed Enrico Berlinguer,

* Enrico Berlinguer, L'Emilia: la regione piu avanzata d'Italia perché la più "rossa", la più comunista. Discorso pronunciato a Ferrara e Reggio Emilia il 5 e 6 aprile 1970, 1970.

* Enrico Berlinguer, Giorgio Napolitano, Per una nuova avanzata dei comunisti nei comuni, nelle provincie e nelle regioni. Rapporto alla sessione del C.C. e della C.C.C. del Partito Comunista Italiano tenuta dal 20 al 22 aprile 1970, Roma, 1970.

* Enrico Berlinguer, Sovranità nazionale nuovo sviluppo economico piena applicazione della democrazia. Discorso di Berlinguer e dichiarazione di voto di Napolitano pronunciati alla Camera nei giorni 11 e 12 agosto 1970, Roma, 1970.

* Renato Sitti (a cura di), Processo all'Eridania, Roma, Editori Riuniti, 1970, presentazione di Enrico Berlinguer.

* Enrico Berlinguer, Per trasformare la società italiana per una nuova direzione del paese. Relazione e conclusioni del compagno Berlinguer alla riunione del CC del PCI dei gg. 13-15 novembre 1970; intervento del compagno Longo, Roma, 1970.

* Enrico Berlinguer, La strategia di lotta del PCI per avanzare sulla via del socialismo, Roma, 1971.

* Enrico Berlinguer, Una nuova politica per lo sviluppo e l'unità della Sicilia. Discorso pronunciato al Teatro Politeama di Palermo il 21 febbraio 1971, Roma, 1971.

* Palmiro Togliatti, Discorsi ai giovani, Roma, Editori riuniti, 1971, prefazione di Enrico Berlinguer.

* Enrico Berlinguer, Per rinnovare l'Italia, per la pace, per la liberazione di tutti i popoli oppressi dall'imperialismo. Relazione e conclusione alla riunione del comitato centrale e della commissione centrale di controllo per la preparazione del 13° congresso nazionale 11-13 novembre 1971, 1971.

* Enrico Berlinguer, Relazione al convegno di Firenze 1971 sull'università, Cronache umbre, nov.-dic. 1971.

* Palmiro Togliatti, Discorsi ai giovani, Roma, Editori riuniti, 1971, prefazione di Enrico Berlinguer.

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* Enrico Berlinguer, Sconfiggere il governo di centro-destra aprendo la via a un'alternativa democratica. Il discorso del compagno Berlinguer alla Camera nel dibattito sul ministero Andreotti - Malagodi, Roma, 1972.

* Enrico Berlinguer, Per uscire dalla crisi un generale rinnovamento nei rapporti internazionali nello sviluppo economico nella difesa della legalità democratica. Rapporto e conclusioni alla sessione del c.c. e della c.c.c. del Pci del 7-9 febbraio 1973, 1973.

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* Mario Mencia, Il prigioniero dell'Isola dei Pini. Fidel Castro nelle carceri di Batista, Roma, Editori riuniti, 1982, prefazione di Enrico Berlinguer.

* Pio La Torre, Le ragioni di una vita. Scritti di Pio La Torre, Bari, De Donato; Palermo, Ciclope, 1982, con intervento di Enrico Berlinguer.

* Enrico Berlinguer, Per la vita, contro la morte. Dal discorso di Enrico Berlinguer alla manifestazione contro la droga organizzata dalla federazione di Ravenna e dal Comitato regionale del PCI dell'Emilia-Romagna l'8 gennaio 1983, dipartimento per la propaganda e l'informazione [del Pci], 1983.

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Bibliografia [modifica]

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Canzoni [modifica]

* Modena City Ramblers: I Funerali Di Berlinguer. Testo.

* Antonello Venditti : Dolce Enrico. Testo.

 

 

 

 

 

 

 

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